Biennale Giovani di Monza 2021: Personali opinioni, del tutto sincere, di un pomeriggio dissonante
La Biennale Giovani di Monza, giunta alla sua nona edizione, è stata inaugurata il 25 settembre e si concluderà il 12 dicembre. Ospita 30 giovani artisti provenienti da dieci Accademie d’Italia, ed è aperta al pubblico tutti i weekend nel Belvedere della Villa Reale, ovvero esattamente in mezzo al percorso dedicato e guidato della famosa Reggia.

La visita
Inevitabilmente per visitarla, si è costretti a saltellare nel tempo, tra disagio e curiosità, come fosse una pausa dissonante tra passato e presente. Per accedervi si attraversano le meravigliose stanze del Versailles lombardo, si osservano dalle finestre i magnifici giardini, ci si fa affascinare dai preziosi affreschi e dai particolari d’arredo, si fantastica sul lusso delle toilette ed è proprio quando ci si identifica nel nobile settecentesco, compiaciuti dallo sfarzo e dalla ricchezza di un passato mai vissuto, che d’improvviso si viene catapultati nel rumore contemporaneo di video e amplificatori, in un disorientamento onestamente a me fastidioso.
Ancora non ho compreso se la scelta del sito sia un valore aggiunto oppure no, non ho compreso se il mischiare i linguaggi abbia accelerato o impoverito il mio interesse verso gli artisti presenti, ma di certo mi ha reso suscettibile al confronto. Sedie vuote, sulle quali giacciono cuffie abbandonate, per un ascolto ignorato, video che riproducono immagini senza spettatori, riverbero di rumori confusi, provenienti da opere differenti, che nell’insieme riproducono sempre lo stesso suono, quel suono sentito mille volte, quel suono divenuto purtroppo un cliché dell’arte contemporanea. Ma ne abbiamo ancora bisogno? Facili luoghi comuni o pigrizia ricettiva?
Giovani già vecchi ripetono schemi ripetuti obsoleti prima ancora di esistere. Il vecchio mi sembra nuovo e il nuovo già vecchio. Mi accorgo d’esser più attratta dal luogo che dall’arte proposta. Il rumore si somma, la confusione s’amplifica e vorrei solo silenzio e spazi vuoti. Sono perplessa. L’arte dovrebbe attirarmi invece mi respinge. Ma se lo fa, forse, è davvero arte? Forse proprio perché mi comunica disagio o noia ha svolto la sua funzione? Oppure è solo un linguaggio già raccontato tante volte, di cui conosco la trama e vorrei che qualcuno avesse il coraggio di dirmi come finisce? Sconforto, oppure accettazione (o non accettazione) della realtà? Pigramente accedo ai Qr code che sostituiscono i cartelli descrittivi, come alla ricerca del menù nei ristoranti fighetti. Un limbo eterno di dati, parole su parole, quando vorrei solo essere coinvolta emotivamente. Emerge la necessità di spiegare, di ribadire a tutti i costi quanto già ripetuto da tempo. Nulla di nuovo o nulla che mi sorprenda. Quanto sarebbe bello fare e basta, senza cercare responsi. Tante domande e tante presunte risposte e ci si è dimenticati l’argomento da cui si è partiti.
E anch’io cado nella stessa trappola. Proseguo cercando qualcosa che mi stimoli, qualcosa che mi chiami, magari anche per motivi diversi dalla volontà di chi l’ha fatto.
E lo trovo.
Anzi, ne trovo tre.
Riflessioni su alcune Opere scelte
Valentina Goretti – Appunto, 2021

Pietra crema luna, 16x12x15 cm
Accademia di Belle Arti G. Carrara – Bergamo
Appunto di Valentina Goretti mi colpisce subito. Vengo attratta dalla sua collocazione a terra e dalle sue ridotte dimensioni. Mi costringe a chinarmi per osservarlo e comprenderne la forma, non subito percepibile. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, prima d’avvicinarmi non avevo nemmeno percepito fosse un figurativo, ma la sua forza concentrata in una piccola essenza armoniosa mi arriva all’istante, in tutta la sua intensità. Realizzato con classicismo lineare, dal morbido chiaroscuro, lo sciacallo Appunto è scolpito in una posa scomoda, una posa che di solito in fotografia si tende a scartare, ma tanto rappresentativa dell’istinto animale. Fondamentale il suo ruolo nello spazio, poggiato a terra, come fosse dimenticato e proprio per questo ancor più visibile e impetuoso.
Andrea Di Giovenale – Cannibalismo, 2021

Smalti veneziani, mouse usb, malte cementizie, cemento, ferro, 20x50x35 cm
Accademia di Belle Arti – Ravenna
Ironico, sagace, accattivante, decisamente mordace il topo di Andrea di Giovenale con Cannibalismo. Scontato? Affatto. Ti cattura con tono beffardo attivando la pancia prima della testa costringendoti a riflettere un attimo dopo aver riso. Ti colpisce senza freni, con la sua pelliccia tagliente che pare morbida, ma che è invece realizzata con scaglie di vetro. Una metafora tanto semplice quanto perfetta, sia nell’idea che nella materia, che fa riflettere sui giusti pesi da dare nell’equilibrio tra natura e innovazione, tra istinto e pensiero. Un’opera talmente moderna da mangiarsela la tecnologia, un monito paradossale sull’esistenza, poiché se restiamo nascosti nel virtuale, vivi resteranno solo i topi, non certo i mouse.
Lorenzo Scarpellini – Acefala IV, 2021

Cartapesta, cemento, ciottoli, polvere di carbone, ossido di ferro, 63×47×17 cm
Accademia di Belle Arti – Ravenna
Avrei scelto da Accademie differenti, ma Lorenzo Scarpellini, con le sue creature antropomorfe, invenzioni di un tempo e di un luogo a noi sconosciuto, o forse paventato, riesce a coinvolgermi emotivamente ferendomi nel petto, attraverso emozioni contrastanti: sofferenza, inquietudine, incertezza, abbandono, paura, tenerezza, compassione, accudimento, empatia, timore. Un destino forse scritto, un’ignoto annunciato, una consapevolezza da affermare.
In questi animali o supposti tali, dallo scultoreo tocco incompiuto, dalle forme terribili ma suadenti, la materia si fa padrona, astraendo e abbozzando una natura selvaggia che sa di sopravvissuto e che urla aiuto.
Queste le mie personali riflessioni. Questo quanto mi è arrivato. Questo il racconto di un pomeriggio che a suo modo mi ha trasformato.
Arianna Stringhi
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